Forse questa sarebbe la domanda di un Amleto dei nostri giorni.
Tra i vari effetti della pandemia, “le mascherine” da semplici dispositivi come un guanto o un caschetto hanno assunto valenze impensabili fino al 2019.
Appunto, il 2019. I titoli dei giornali riguardavano il PM10, il particolato dell’inquinamento, le multe dell’Europa alle nostre città, e quasi tutti i ciclisti, o chi viaggiava e si muoveva a viso scoperto indossava … maschere filtranti.
Droplets, aerosol e quanti altri termini avete imparato a conoscere dal 2020 ed erroneamente da molti attribuito al solo CoVID, era parte della stessa cosa che chiamavamo “Particolato” negli anni precedenti, distinguendolo per numeri che non erano altro che le dimensioni in micron: SARS-CoV-2 si chiamerebbe PM 1, in un range di dimensione comune al virus dell’influenza, ma anche a molte altre “polveri fini” di cui parlerò tra poco.
Le dimensioni contano? Per le nostre vie aeree : sì.
Il PM 10 arriva e si ferma in naso, bocca, faringe, laringe… -ricordate gocciolone di saliva e muco in mille video e studi in questo biennio ??- con effetti irritativi locali quali secchezza e infiammazione; il PM2.5 raggiunge bronchi e bronchioli, e può causare un aggravamento delle malattie respiratorie croniche, quali asma, bronchite ed enfisema ; ma solo il PM 1 è “respirabile”, cioè arriva negli alveoli polmonari e può passare nel sangue.
Bene, o meglio male per noi, la stragrande maggioranza delle polveri di PM1 o inferiore… la produciamo noi esseri umani : fuliggine, processi di combustione come i motori a scoppio delle auto, combustione del legno, industrie, attività agricole e zootecniche sono tutte attività ideate dall’uomo, che generano quelle “polveri sottili” che tanto temevamo fino al 2019 e che ci costano tuttora salate multe per l’inquinamento delle nostre città. Certo, una piccola quota di PM 2.5 e PM 1 sono anche batteri o virus, ma che, di nuovo, sono assimilabili ad un “effetto umano”, perché siamo noi che ospitiamo e ci scambiamo la gran parte degli “agenti patogeni respiratori”, che poi fanno ammalare molti, anche se fortunatamente non tutti.
Vi ricordate che, fino al 2019, solo i giapponesi portavano le mascherine quando avevano bisogno di proteggere o proteggersi da infezioni respiratorie?? Vi eravate chiesti come mai??
L’epidemia di Spagnola, sì proprio quella, arrivò nel 1918 anche in Giappone. Il Paese non era stato molto interessato dalla Prima Guerra Mondiale, contrariamente alla tragedia che avrebbe dovuto sopportare con la Seconda. Di fatto, arrivata la Spagnola e con essa le morti, l’Autorità Sanitaria Giapponese seppe che San Francisco ed altre città riferivano un buon controllo dei contagi con il diffondersi dell’uso di mascherine nella popolazione. Le Autorità giapponesi dettero direttive perché la popolazione indossasse obbligatoriamente mascherine nei luoghi di cure, nei mezzi di trasporto, nei luoghi di spettacoli o in zone affollate. Le mascherine vennero distribuite gratis a chi non aveva mezzi per acquistarle.
Con tutte le difficoltà di contare popolazione, malati e morti in un Giappone ancora all’alba dello sviluppo industriale, difficoltà non diverse da molti altri Paesi nel primo Dopoguerra, le statistiche dimostrarono l’efficacia dell’uso delle mascherine nel controllo della Spagnola, con un’incidenza da Paesi virtuosi, molto minore di quella di Paesi che vennero colpiti seriamente da quella pandemia.
Questo determinò i Giapponesi a mantenere l'uso della mascherina da parte del singolo in ogni occasione di malattia infettiva o sintomi che la facessero sospettare. Indossare la mascherina divenne un segno di senso civico, a protezione non tanto di sé stessi, ma come gesto verso la propria famiglia, comunità, Paese.
Il Giappone mostrò risultati vantaggiosi anche durante le pandemie dell’Estremo Oriente, dalla Hong Kong a SARS 1 all’influenza suina. All’inizio del nostro secolo le Autorità Giapponesi ribadirono campagne sanitarie che incoraggiavano il singolo all’uso spontaneo ed autonomo della mascherina. L’impiegato che usava la mascherina, mostrava rispetto per i propri Colleghi, permettendo loro di continuare a lavorare in salute. Così lo scolaro per i propri compagni ed insegnanti. Nelle scuole, per abituare i bambini, si adottarono dei giorni-con-la-mascherina una volta alla settimana, così da dare la giusta naturalezza ad un gesto non diverso dall’usare impermeabile e ombrello o scarponcini e berretto a seconda che piova o che nevichi.
Allora, tornando a noi ed all’inquinamento che purtroppo è tornato apprezzabilissimo, ed alle infezioni delle vie respiratorie che comunque caratterizzano la stagione invernale e primaverile in Italia, perchè non imparare anche noi, seppure con cent’anni di ritardo, come fecero i Giapponesi, da una pandemia?
Perchè non usare una mascherina per evitare di tossire o starnutire in faccia a chi viaggia con me, è con me in un cinema o un supermercato, e magari potrebbe più di me soffrire da un’infezione respiratoria?
Perchè non mettere una mascherina quando l’inquinamento, o i pollini, mi rendono meno amica l’aria che respiro?
Scegliere di fare una cosa, comprenderne il senso civico, è meglio che subirla sbuffando e non considerando i benefici complessivi.
Una raccomandazione che mi sembra parte di un necessario ABC per chi con la voce ci lavora, di qualunque tipo di voce si parli ( e che da una vita adottano tutti gli artisti giapponesi, senza che nessuno se ne sia mai danneggiato…)
To mask if better to mask.
Un manifesto che promuoveva l’uso della mascherina in Giappone durante l’epidemia di Spagnola . A poster promoting mask-wearing in Japan during the Spanish flu outbreak. Source: Asahi Shimbun https:// digital.asahi.com/articles/ASN4S4CYPN4FUTIL01M.html.
Bibliografia
Barceló, J.; Sheen, G.C.-H. Voluntary adoption of social welfare-enhancing behavior: Mask-wearing in Spain during the COVID-19 outbreak. PLoS ONE 2020, 15, e0242764
Chandra S. Deaths associated with influenza pandemic of 1918-19, Japan. Emerg Infect Dis. 2013 Apr;19(4):616-22. doi: 10.3201/eid1904.120103. PMID: 23631838; PMCID: PMC3647405.
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